venerdì 24 novembre 2023

IL GIALLO DEL FUMETTO NERO

5_IL GIALLO DEL FUMETTO NERO di Nik Guerra.

A Lucca Comics c’è un appuntamento la cui consuetudine rischia di mascherarne l’eccezionalità: Nik Guerra, con puntualità disarmante, presenta, ad ogni edizione del festival, un nuovo libro. Disarmante per una serie di motivi: innanzitutto per la qualità che l’autore toscano profonde nelle sue tavole, pari unicamente all’impegno che traspare evidente dal suo lavoro. Guerra non è, infatti, artista da “genio e sregolatezza” ma, semmai –proprio come i più grandi– “genio e rigore”. Il rigore che si impone e gli consente di arrivare, come si diceva, puntuale ad ogni nuova edizione del comics lucchese con una nuova perla. Ed è il caso di riassumere un po’, questa clamorosa progressione negli anni, in parte per creare suspense intorno al nuovo titolo, ma soprattutto perché si tratta di una carrellata eccezionale. Dal 2010, anno di presentazione di La Femme en Noir, sorta di retrospettiva che faceva il punto sulla sua capacità artistica, la produttività, qualitativa e quantitativa, di Guerra è stata sbalorditiva. 2012: esce il clamoroso Nero Fatale, 66 pagine scritte, sceneggiate e, soprattutto, illustrate, interamente dall’autore toscano. Nel 2013 è la volta di Dark Divas, elegante galleria di pin-ups; poi, con i testi di Cristina You-Bad-Girl, vedono la luce, nel 2014, Cocò, nell’arte, nel respiro e, nel 2015, Amara, Vervelia e Cripzia, storie brevi di bellissime zombies. L’anno successivo, il 2016, Guerra torna anche ai testi per una nuova, lunghissima, storia: Dossier Magenta, ben 72 pagine! Ma non c’è tempo per riposarsi, per l’autore toscano, perché nel 2017 è di nuovo in coppia con Cristina You-Bad-Girl per Cocò, dell’arte il desiderio, un altro corposo volume. Le illustrazioni tornano di nuovo protagoniste nel lussuoso tomo 130 Pin-Ups, e siamo al 2018, mentre nel 2019 esce Sensualmente zombie, sempre con i testi di Cristina. Il covid-19 riesce in quello in cui nessuno era riuscito finora, ovvero fermare la febbricitante attività di Nik Guerra, e così si passa al 2022, dove, ad attenderci, c’è però lo stupefacente 13, con l’ausilio di tredici, appunto, sceneggiatori. Ora, l’enfasi messa sulla prolificità di Guerra potrebbe sembrare esagerata, considerato che ci sono fumetti che fanno della puntualità mensile la loro forza. Ma vanno fatte una serie di precisazioni che definiscono quell’eccezionalità del lavoro di Nik Guerra accennate in apertura e non ancora approfondite. Innanzitutto va considerato che l’autore toscano fa tutto, quasi, da solo, dove quel ‘quasi’, a parte le recenti collaborazioni, è legato al supporto di Cristina You-Bad-Girl. La “ragazzaccia”, questo il significato del suo nickname, oltre a sceneggiare e creare alcuni personaggi, è certamente un riferimento per Nik, che può sempre contare sul suo contributo. Tuttavia, l’impresa a cui si sottopone costantemente Nik Guerra è mostruosa: disegna, inchiostra, illustra, scrive, idea, produce fumetti, quadri, copertine di dischi, calendari, e, a Lucca, si presenta con uno stand, naturalmente insieme a Cristina, piccolo, forse, ma che sbaraglia, per qualità esposta per centimetro quadrato, qualunque altro, Panini, Bonelli e compagnia, compresi. Ogni anno, poi, come documentato poc’anzi, nello stand si può trovare una sua nuova fatica, nome quanto mai azzeccato visto che Guerra deve sudarsele, quelle sue splendide tavole, perché ha sempre la scadenza di ottobre da rispettare per portare poi il libro in fiera. Va da sé che, ogni anno, ci si trova a scrivere qualche doverosa nota di apprezzamento, per tanto talento e dedizione al lavoro e, allora, potrebbe venir da chiedersi perché si è scelto proprio questa occasione per fare al contempo un breve riassunto sulla sua opera nel corso degli anni. Forse che il nuovo lavoro di Guerra è meno riuscito e, quasi a mo’ di giustificazione, si metta l’accento sul fieno già messo in cascina? Esattamente il contrario. Il Giallo del fumetto Nero è, infatti, talmente stupefacente che occorreva sottolineare come fosse davvero eccezionale e, per farlo, era necessario ricordare il suo background. Infatti, Guerra, soprattutto dopo 13, ennesimo capolavoro che la presenza di tanti personaggi e autori rende particolarmente importante, avrebbe potuto prendersi un’annata di rendita. Magari un volume di Pin-Ups, sempre apprezzabile, sia chiaro, ma meno impegnativo dal punto di vista del coordinamento con gli sceneggiatori o cose di questo tipo. Invece Il Giallo del fumetto Nero si presenta con ben due trovate geniali che rendono assolutamente eccezionale anche questa nuova uscita. Due, e non una, a testimonianza di come Guerra sia un autore che non si risparmia mai ma, tutto quello che ha, lo mette nelle sue opere, senza speculazioni. La prima idea geniale che troviamo nel nuovo lavoro di Guerra è l’uso dei fogli di colore giallo. L’impatto delle tavole è notevole, il nero spicca come al solito mentre l’uso delle sfumature di bianco permette di ottenere una sorta di effetto mezzatinta che il giallo dello sfondo mantiene però sempre acceso, adeguato supporto al testo raccontato. I disegni sono, come al solito, strepitosi, la natura del racconto permette anche stavolta, come già nei precedenti e in 13 in particolare, numerose pin-ups con i vari eroi e, ovviamente, eroine, che Guerra interpreta da par suo. Indimenticabili, tra le altre, Venus, Venus e ancora Venus –ehm, scusate l’entusiasmo– e poi Satanik, Zakimort, mentre Kriminal e Diabolik –bellissima la sua doppia pagina dedicata a Milano– meritano una nota speciale tra gli eroi maschili. Non manca Magenta, che è protagonista della storia di finzione che si snoda tra le splash-pages dei personaggi neri dell’epoca a cui è dedicato il libro; l’eroina più cool del terzo millennio mette a referto anche stavolta alcune pose memorabili. C’è spazio anche per Lucrezia, in particolare stato di grazia, anche perché la troviamo nel suo habitat naturale, il palco di un night-club. Da segnalare, sempre dal punto di vista grafico, la pagina iniziale che introduce la vicenda, con i manifesti cinematografici che ambientano la storia negli anni Sessanta, con l’indimenticabile Anita Ekberg in bella evidenza.
Ma, come accennato, le idee geniali ne Il Giallo del fumetto Nero sono almeno due e la seconda di queste è il genere del racconto. Il fumetto, come media, ha oltre cent’anni e, se guardiamo alla produzione odierna, sembrerebbe davvero che le possibilità narrative siano pressocché esaurite. Uscite originali ce ne sono sempre meno e si potrebbe azzardare che il fumetto, almeno in Italia, sopravviva solo con le ristampe e le riproposizioni, anche se spesso questi volumi vengono comprati per collezionismo e non per lettura e fruizione vera e propria. La cosa non è triste, sia chiaro, perché non c’è niente di male nell’alimentare la nostalgia per un passato che ormai non esiste più, quello dell’età dell’oro del fumetto italiano, dal dopoguerra alla fine degli anni Settanta del XX secolo. Anche Guerra non sfugge a questa tendenza –già intuibile in passato nel suo approccio metalinguistico, evidente in Dossier Magenta, ad esempio– con la differenza che l’autore toscano riesce da un lato ad attualizzarla, esplorando vie, quelle del fetish, quasi inedite in Italia –e nemmeno esaurite anche se ci poniamo a livello mondiale– mentre in questa circostanza ha come ulteriore spunto geniale la brillante intuizione di utilizzare la docufiction – anzi, la docu-graphic-novel per essere precisi– per alimentare in modo legittimo e onesto la malinconia per il passato. Più moderno di una mera ristampa, più avvincente di un saggio divulgativo. Ma c’è di più. Il tributo ai personaggi dell’epoca d’oro del fumetto nero italiano è così pienamente convincente soprattutto perché dalla matita dell’autore toscano escono immagini inedite e nuove, frutto di un talento, di una passione e di una dedizione, sconosciute alla maggior parte dei personaggi rivisitati. In un panorama che raschia il barile dei ricordi per cercare di vendere qualcosa, Nik Guerra è quasi un mago: prende il passato, lo nobilita con la sua arte, e, attraverso l’utilizzo della docufiction, lo riattualizza. Che poi, pensando alla magia che si respira nel suo stand, alimentata dalla sua arte ma anche dalle oniriche creazioni di Cristina, vera Signora delle Arti Mistiche, si può togliere tranquillamente il ‘quasi’. 


mercoledì 29 marzo 2023

GENTLEMIND (VOL. 1)

4_GENTLEMIND EPISODIO 1 di Juan Diaz Canales, Teresa Valero e Antonio Lapone.

In occasione di Lucca Collezionando 2023 viene presentato da Alessandro Editore e Cosmo Editore il primo volume di Gentlemind, già uscito oltralpe nel 2020. Illustrata magistralmente da Antonio Lapone, Gentlemind è una storia a fumetti ambientata nella New York degli anni Quaranta. I testi di Juan Diaz Canales e Teresa Valero sono intrisi di nostalgico romanticismo ma sorretti da una vena politico sociale: è in quegli anni che si prepara l’ascesa definitiva degli Stati Uniti, che si compirà con la fine della Seconda Guerra Mondiale, e quindi gli elementi nella pentola erano già tutti in ebollizione. Se la protagonista, la splendida Navit, si strugge per il suo Arch Parker partito per l’Europa per la guerra, consolandosi prima col magnate Mr. Powell e con l’avvocato Trigo poi, i temi sociali non solo fanno costantemente capolino, ma costituiscono la struttura del racconto. Perché in realtà la ballerina protagonista è meno frivola di quel che si può credere e non cerca mai di ingannare Powell, nonostante approfitti della situazione; allo stesso modo con Trigo fatica a cedere alla tentazione, visto che è ancora innamorata di Arch, quell’artista che la conosceva così bene da essere in grado di disegnarla anche al buio. La condizione e il ruolo della donna nella società americana, l’utilizzo che le riviste fittizie come Gentlemind o la celeberrima e autentica Esquire facevano della figura femminile sono tutti aspetti su cui rimbalza la narrazione dei due sceneggiatori spagnoli. Ma tutto questo passa in secondo piano rispetto alla resa grafica strepitosa e personalissima di Antonio Lapone. L’artista torinese è un autentico asso e la stilizzazione del suo tratto incarna perfettamente lo spirito del tempo della storia, riuscendo comunque moderno, originale, dinamico e assolutamente irresistibile.
Proprio come la sua protagonista.
         





martedì 22 novembre 2022

SPADA SELVAGGIA DI CONAN #1 CHIODI ROSSI

3_LA SPADA SELVAGGIA DI CONAN #1 CHIODI ROSSI di Roy Thomas, Barry Windsor-Smith, Gil Kane, Neil Adams e altri.

Edita dalla Hachette Fascicoli e curato da Panini Comics, The Savage Sword of Conan è una riproposta cronologica di tutte le storie di Conan uscite su due prestigiosi magazine in bianco e nero. Questo volume d’esordio attinge unicamente a Savage Tales (dal n.1 al n.5, albi usciti tra il 1973 e il 1974), successivamente la ristampa riporterà alla luce pagine di Savage Sword of Conan (collana pubblicata dal 1974 al 1996). Conan è un personaggio certamente celebre per via dei film, da quello riuscitissimo di John Milius del 1982 con Arnold Schwarzenegger, all’inferiore sequel del 1986 fino al tentativo tutto sommato trascurabile del 2011. E, ad onor di cronaca, va detto che in origine di tutto vi erano i romanzi di Robert Erwin Howard, scrittore pulp abitualmente indicato come l’inventore del genere Sword and Sorcery a cui, appunto, Conan appartiene. Tuttavia, non ce ne vorranno né il buon Howard e neppure Schwarzy se ci azzardiamo a dire che, nonostante la paternità sia letteraria e la fama dovuta al cinema, l’espressione migliore in cui possiamo trovare Conan siano i fumetti. E, nello specifico, la versione in bianco e nero in grande formato – nonostante l’interpretazione di Kurt Busiek e Cary Nord che è stata pubblicata dalla Panini Comics sulla Collezione 100% Cult Comics ci ponga qualche dubbio nel merito. Ma quello fu il tentativo, riuscitissimo, di coniugare le vicende del cimmero più famoso del mondo con i disegni a colori, in genere mai del tutto convincenti. Almeno non come le tavole in bianco e nero degli assoluti maestri che si diedero il cambio sulle storie ristampate ora da The Savage Sword of Conan. Ad inaugurare la collana sono ovviamente i disegni di Barry Windsor-Smith: il suo tratto ipnotico è l’ideale per dare corpo alla vena soprannaturale che impregna le avventure di Conan. L’enigmatica La figlia del Gigante dei Ghiacci, ormai un assoluto classico, ci lascia con un brivido che la successiva breve e atipica Cimmeria non dissipa. Siamo quindi pronti per Chiodi Rossi, eccezionale e corposa storia che dà titolo a questo primo volume e nella quale Windsor-Smith può sbizzarrirsi con immagini angoscianti e oniriche. Gil Kane e Neil Adams definiscono meglio la figura di Conan ne La notte del Dio Scuro, con pagine dense di dinamismo e passione. La morte di Mala, e la sua rabbiosa nei confronti di Thorfer – il re Vanir che l’aveva fatta rapire per sposarla – rimarrà per sempre nei cuori dei lettori. Per completare il volume, La Creatura del buio, di nuovo con Windsor-Smith, e Il segreto del Fiume del Teschio incisivamente realizzato da Jim Starling e Al Milgrom. Alla sceneggiatura di tutte le pagine che compongono questo primo tomo di The Savage Sword of Conan c’è il mitico Roy Thomas capace come nessun altro di integrare il suo lavoro alla prosa originale di Howard. Insomma, è evidente che il Conan di queste avventure è un classico imperdibile della letteratura a fumetti, e anche il personaggio in sé stesso è davvero memorabile. Tra i passaggi migliori di questo volume c’è sicuramente la battuta con cui il cimmero prova a placare il terrore che assale Yaila, sua compagna d’avventura ne La Creatura del buio. I due sono destinati ad essere sbranati da una bestia immonda e Conan cerca di liberarsi dalle catene che lo tengono imprigionato al muro, ma non è cosa né facile né tantomeno veloce. Yaila scalpita, sentendo il mostro arrivare, al che il barbaro sbotta: “Shadizar non è stata corrotta in un giorno!” parafrasando il famoso detto sui tempi che furono necessari ad edificare Roma. La stessa efficacia espressiva, in modo assai più colorito. Com’è nelle corde delle storie di Conan, insomma. 

     

giovedì 3 novembre 2022

IL COLONNELLO CASTER' BUM E PICCOLO DENTE: FORTE OKAY

2_IL COLONNELLO CASTER' BUM E PICCOLO DENTE: FORTE OKAY di Claudio Nizzi e Lino Landolfi.

Allagalla Editore continua la benemerita operazione di recupero di fumetti pubblicati dalla gloriosa rivista Il Giornalino con una nuova succulente uscita. Stavolta ad avere l’onore di una ristampa – che si propone come integrale nel suo complesso – è la saga umoristica Il Colonello Caster’ Bum e Piccolo Dente di cui Forte Okay è il primo tomo. Claudio Nizzi e Lino Landolfi sono gli autori di questa serie che, sebbene abitualmente un po’ sottovalutata, deve essere annoverata tra le più rilevanti di sempre nel panorama italiano – e di conseguenza internazionale. Per la verità le tavole autoconclusive dedicate a Piccolo Dente e Occhio di Luna sono spesso ricordate come esempio di fumetto comico, e Piccolo Dente stesso divenne la mascotte del settimanale Il Giornalino che, come detto, le pubblicava ma, al contrario, le storie con Caster’ Bum sono finite nel dimenticatoio almeno fino alla lodevole operazione targata Allagalla. In realtà Piccolo Dente è sì il personaggio più dirompente della saga, in principio il classico bambino pestifero in voga nei fumetti anni Sessanta e via via poi dalla personalità più strutturata, ma la sua vivacità non era affatto sacrificata nell’ambito delle storie corali in cui aveva visto la luce. Perché la forza della serie Il colonnello Caster’ Bum è nella capacità dei suoi autori, Nizzi ai testi e Landolfi ai disegni, di inventare un intero universo denso e pieno zeppo di personaggi diversi e originali. Con tantissime trame e sottotrame che si intersecano, si sorreggono, depistano, insomma ricreano mirabilmente una realtà nella quale era bello tuffarsi quasi settimanalmente quando queste avventure venivano pubblicate. Trattandosi di un fumetto, la prima impressione deriva dalle tavole di Lino Landolfi: caratterizzate da uno stile grafico assai peculiare, le pagine disegnate dall’artista romano sono assolutamente uniche. Il colonnello Caster’ Bum nasce come racconto umoristico il che, nel mondo delle nuvole parlanti, abitualmente si traduce in uno stile grafico caricaturale; naturalmente esistono anche esempi di fumetti comici con rappresentazioni realistiche ma la possibilità di stilizzare i personaggi è un’occasione troppo ghiotta per gli autori, che possono così strappare già un sorriso grazie alla semplice realizzazione dei characters. Landolfi però è un caso specifico, anche se non unico in Italia (si pensi a Magnus, Bonvi o, più recentemente Ortolani), perché il suo stile tende al grottesco e in questo senso coglie graficamente l’ironia delle storie, ma non ricorre all’essenzialità della stilizzazione, anzi. 

Le sue tavole sono ricolme di particolari, dettagli intricati e, qualora ci fosse dello spazio libero, si occupa già in fase di disegno di inserire esclamazioni, grida, rumori vari non limitandosi alle classiche onomatopee. Queste pagine disegnate densamente trovano poi la definitiva consacrazione con un uso del colore deciso quasi a divenire psichedelico (si veda il ricorso frequente al viola, in varie gradazioni). Landolfi, insomma, realizza un universo grafico del tutto originale ed armonico, concretizzando lo stupefacente lavoro in sede di scrittura di Claudio Nizzi. Perché la forza de Il colonnello Caster’ Bum e Piccolo Dente è già nell’idea concettuale: una serie umoristica con una struttura narrativa degna di una saga avventurosa di prim’ordine. Giusto a titolo d’esempio: ben raramente il fumetto comico italiano ha visto all’opera uno sceneggiatore così attento alla continuity delle sue storie; in genere, nelle storie umoristiche quello che succede in una storia non pone vincoli alle successive lasciando mano libera agli autori. Nelle storie di Caster’ Bum se il mitico Dente di Ferro, il salmone che compete con il capo indiano Caldaia Fredda, finisce nella padella, per rivederlo sulla scena dobbiamo aspettare che il figlio ne prenda il posto. Le gags che vedono all’opera il padre di Piccolo Dente, sakem degli indiani Assaibonis, sul ponte del fiume intento a cercare di pescare il salmone in questione sono uno dei tantissimi esempi di come il racconto di Nizzi sia diversificato in mille rivoli. Le caratteristiche principali dei testi dell’autore nato in Algeria sono la spiccata vena avventurosa, la definizione eccellente dei personaggi, oltre ad un’ironia che si declina in differenti tonalità. A volte è semplice e bonaria, nei fraseggi di semplice narrativa, altre più amara, quando si intravvede la critica storica o ecologica, altre volte ancora è addirittura sarcastica. Questi ultimi aspetti sono, a rileggere Caster’ Bum oggi, i più sorprendenti: se schierarsi dalla parte degli Indiani poteva essere a suo tempo in linea con il punto di vista più giusto e storicamente onesto, alcuni passaggi sono quasi spiazzanti. Ad esempio quando Caldaia Fredda mette ‘al loro posto’ le donne di famiglia con la scusa della presenza di un topo nella tenda, con un passaggio che potrebbe essere inteso in odore di maschilismo. In realtà tutta la saga racconta il contrario, con Occhio di Luna che batte regolarmente Piccolo Dente a nascondino, tanto per chiarire. Eppure, se l’episodio citato è una tavola autoconclusiva del 1978, già nella quarta storia assoluta (Tamburi di guerra, del 1970) scopriamo che i pacifici Assaibonis sono sul piede di guerra perché Grossa Quaglia, squaw di Caldaia Fredda, è imbufalita per via delle provviste avariate arrivate dall’Agenzia Indiana. 

Le donne, che qualsiasi narrativa illuminata descrive come nobili ambasciatrici di pace, sono qui mostrate nella loro anima bellicosa, seppur in un contesto ironico, naturalmente. E’ un completo ribaltamento di quello che abitualmente ci si può attendere ma questo non avviene solo nel finale, come spesso accade nei racconti comici, ma è presente già nei presupposti e questo è abbastanza insolito. Del resto Il Giornalino, che oltretutto era (ed è) una rivista di orientamento cattolico, ai tempi era anche abbastanza audace, diciamo così, con personaggi che oggi potrebbero essere anche definiti politamente scorretti. Primo fra tutti proprio Caster’ Bum, colonnello dell’esercito americano che appare chiaro sin da subito che storicamente è schierato dalla parte del torto e che pure è il titolare ufficiale della serie almeno nella prima e corposa fase. I Settanta erano gli anni del contro-western, e lo erano già da quasi un decennio, la corrente che ribaltava il punto di osservazione sulla conquista dell’ovest americano mettendo i pellerossa dalla parte della ragione. Che poi è la stessa prospettiva della saga in questione, intendiamoci, come dimostra la storia del 1971 Soldato Azzurro che cita espressamente il più celebre contro-western della storia del cinema, quel Soldato Blu di Ralph Nelson, uscito nelle sale soltanto l’anno precedente. Nonostante sia sin dal principio una saga corale, che si gioca su diverse ambientazioni – Forte Okay, il campo indiano, il ponte sul fiume Little Tricorn – e diversi contesti narrativi – i tentativi di scatenare la guerra del tenente Miops, i giochi di Piccolo Dente e Occhio di Luna, la sfida tra Caldaia Fredda e il pesce Dente di Ferro – come detto la serie è intitolata a Caster’ Bum. La cosa è rimarcata da quasi tutti gli inizi delle storie, almeno del primo periodo, che vedono Caster’ Bum e Miops complottare qualche losca strategia ma soprattutto dal finale, vero e proprio tormentone della serie dove il colonnello si rammarica del fatto di non riuscire a diventare generale. Tra l’altro, l’architettura abitudinaria con la ciliegina del finale che si ripete all’infinito è un’altra chicca di Nizzi che è abile ad inserire con naturalezza questo modo di raccontare anche in queste storie ad ampio respiro. L’apoteosi di queste continue variazioni sul tema si troverà, quasi ovviamente, nelle tavole autoconclusive laddove il gioco con il lettore, che è alla base di questo modo di raccontare, diviene addirittura scoperto. La prova lampante di ciò è Che confusione (tavola del 1978) ma l’esplicita complicità con il lettore era stata ricercata sin dall’ultima striscia della primissima pagina della primissima apparizione della saga nel 1970. 

Le storie ad una pagina che ripetono la stessa impostazione variando solo un dettaglio – si vedano quelle sul mimetismo durante la caccia, per esempio – cercano già quell’intesa con il lettore, e per gustarle fino in fondo si devono ricordare quelle precedenti – allo stesso modo in cui, in modo certamente più esplicito, alcuni personaggi si rivolgono direttamente a chi legge il fumetto. Ne Arbitro Venduto (1971) Piccolo Dente si rivolge ai lettori spiegando le regole del gioco del Lacrosse, attività al tempo in voga presso i nativi americani. In questo caso è evidente lo scopo divulgativo, altro pregio dell’opera, altre volte le finalità sono più strettamente narrative, ovviamente – ad esempio comunicare ai lettori dettagli rimasti oscuri dai dialoghi della trama – ma sotto tutti elementi che rivelano il grado di maturità richiesto da Nizzi per poter pienamente fruire alla sua opera. Pur essendo smaccatamente un fumetto per i più piccoli lettori de Il Giornalino, Il colonnello Caster’ Bum e Piccolo Dente esigeva – e, di conseguenza, educava – un approccio più adulto, in questi aspetti tecnici addirittura metalinguistico, in quanto era esplicito che si era di fronte ad un fumetto e non tanto ad una ipotetica realtà resa graficamente dalle tavole. Una differenza che può sembrare solo una sfumatura ma che trova poi conferma nei temi maturi di alcune storie: se già l’approccio alla questione indiana non era così scontato, basti considerare la presenza tra gli Assaibonis del bellicoso Puma Rosso e dei suoi amici gemelli, l’ironia di Nizzi sfrutta anche argomenti che su un settimanale cattolico, e in generale in un fumetto per ragazzini, al tempo non erano così prevedibili. Ad esempio il riferimento alla privacy delle talpe, nella tavola autoconclusiva Ascolta il terreno, o il fatto che Caldaia Fredda vada a far bisboccia alzando il gomito di nascosto dalla moglie in una storia più datata.
In questo primo volume che ripropone le avventure di Caster’ Bum e Piccolo Dente si è scelto di non seguire la cronologia delle pubblicazioni ma di alternare le storie più lunghe a quello successive ad una tavola. Se la cosa contribuisce a dare ritmo alla lettura del volume, è comunque interessante lo sviluppo della prima parte della saga, quella intitolata a Caster’ Bum e caratterizzata da storia più lunghe. Per circa il primo anno di pubblicazione, a cavallo tra il 1970 e il 1971, le storie sono più brevi, in genere sei pagine, rarissime volte meno. Poi, dopo la metà del 1971, compaiono due coppie di storie abbinate tra loro: I due pistoleri, infatti, continuava con Sfida Infernale così come Divieto di pesca si chiudeva con Ala Tarlata Show. Pur avendo due titoli diversi a sancire l’uscita sul settimanale, si trattava delle prime storie che arrivavano alle dodici pagine. Ancora lontani dalla quarantina delle francesi bédé come Asterix o Lucky Luke ma anche da certe lunghissime avventure dell’italiano Cocco Bill, tanto per fare dei paragoni. In chiusura di 1971 viene pubblicato il già citato Soldato Azzurro – storia che chiude anche questo volume – che ci dà lo spunto per un paio di annotazioni. Innanzitutto la storia è lunga venti pagine, il che pone la serie Caster’ Bum come opera in grado di reggere da un punto di vista avventuroso anche gli illustri esempi citati di fumetto comico. E, visto che la sponda metalinguistica non è ignorata da Nizzi, si deve prendere atto che c’è una precisa volontà di strutturare sempre più le vicende dei nostri eroi, dal momento che per quest’occasione si decide di riportare per tutte le cinque uscite settimanali lo stesso titolo – Soldato Azzurro, appunto – con la consueta frammentazione a puntate prevista per le storie lunghe dei citati personaggi quando venivano pubblicati su rivista. Insomma, l’ambizione di Nizzi e Landolfi era quella di produrre un fumetto che avesse pari dignità artistica dei rinomati successi pubblicati dal Corriere dei Piccoli o da Il Giorno dei Ragazzi.
Obiettivo raggiunto e, a dirla tutta, anche superato.   

martedì 1 novembre 2022

13

1_13 di Nik Guerra.

In occasione di Lucca Comics & Games 2022 per le Edizioni Di esce 13, la nuova spettacolare fatica di Nik Guerra in questo caso coadiuvato da uno stuolo – tredici, come da titolo – di sceneggiatori per altrettante tredici folgoranti brevi storie. E, oltretutto, tredici magnifiche pin-up a doppia pagina che sarebbero già un valido motivo per acquistare l’albo. In realtà sono la conferma della bontà dell’intuizione alla base del progetto: Guerra è un eccellente disegnatore di fumetti ma è addirittura insuperabile come illustratore e la struttura del volume valorizza in modo efficace la sua arte. I tredici racconti brevi si aprono con Cabaret des Vampire sceneggiato da Cristiana Astori. Susanna Martino è la protagonista che completa così la connessione tra le arti operata da Cristiana, aggiungendo un nuovo binomio dopo quello tra letteratura e cinema tipico dei suoi gialli. Stavolta Susanna, già personaggio principale dei citati romanzi, agisce nell’ambito delle nuvole parlanti e si trova coinvolta in uno spettacolo di cabaret: fumetto e teatro – di cui quest’ultimo è una forma espressiva – quindi. Per altro il cinema è comunque presente in modo consistente nell’economia della breve vicenda e, come detto, la protagonista è la stessa dei libri gialli e quindi anche la letteratura è coinvolta. Neanche il tempo di metabolizzare lo spessore del capitolo d’esordio che arriva uno dei pezzi da novanta del volume: nientemeno che Chiara di Notte di Jordi Bernet (qui spalleggiato in sede di scrittura da Guerra e Stefano Bartolomei). Punti di vista vede all’opera la prostituta più simpatica e umana del fumetto che si trova a tu per tu con Magenta (a testimonianza del contributo di Nik nella sceneggiatura), personaggio certamente un filo più pragmatico. La realizzazione grafica di Chiara è roba da far tremare i polsi ma Guerra va dritto al sodo, cogliendo lo spirito del personaggio senza tradire il suo stile. La doppia splash page è un capolavoro. Nato con la camicia potrebbe parlare del suo autore, lo sceneggiatore Moreno Burattini che da anni è al timone di una serie storica come Zagor. In realtà, abituato a vedere le cose dal punto di vista dell’altro – come insegna lo Spirito con la Scure, l’eroe bianco che difende gli indiani di Darkwood – Burattini suggerisce come anche sotto le coperte serva una mutua complicità tra partner. Restando in casa Bonelli, ecco arrivare un altro asso delle nuvole parlanti, il mitico Alfredo Castelli. Lezione di spogliarello per Bloody Mary vede il ritorno sulla scena dell’affascinante personaggio al tempo realizzato graficamente da Carlo Peroni per il fumetto Zio Boris. Pur con tutto l’affetto per la versione originale, l’interpretazione che ne dà Guerra è totalmente di un altro pianeta, concretizzando finalmente le potenzialità del personaggio. Tra l’altro Castelli sforna un colpo di scena perfettamente a tono con il ritmo sincopato del volume, dimostrando, qualora ce ne fosse bisogno (e non c’era) il suo talento. Il quinto racconto, Non tutto si fa per soldi, segna il ritorno del misterioso Marco Delizia e della sua Ramba, che Nik Guerra aveva già interpretato nel 2013, al tempo della pubblicazione dell’Integrale della bellicosa eroina. Il personaggio è particolarmente nelle corde di Guerra, sarà anche per via del cognome dell’autore toscano e, in effetti, Ramba farà giustizia in modo violento. Del resto è una caratteristica già insita nel personaggio e poi, in questo caso, anche considerando che siamo in un’opera di finzione, la cosa si può tranquillamente accettare visto che punisce chi, nella realtà, questa violenza la esercita per il proprio comodo. Il lugubre La donna più bella del mondo è pervaso dal clima angosciante tipico dei testi di Paolo Di Orazio. Guerra è particolarmente abile nel dar forma visiva alle atmosfere horror, con tavole dense di ombre, luci velate e pieghe che nascondono la verità fino all’allucinante colpo di scena finale. Massimo Giacon segna la metà del volume e se Guerra può sfoderare la sua peculiare e apprezzatissima abilità nel rappresentare graficamente il nylon delle calze femminili, qualche altro aspetto del racconto ci sorprende non poco. Se la presenza di un protagonista maschile è particolarmente spiazzante sin dalla prima pagina del racconto, il finale riesce comunque a cogliere impreparato il lettore. Calzelandia non è forse il racconto più bello del lotto ma probabilmente è quello che turba di più, almeno considerando la medicina proposta nel finale. I rimandi contenuti nel volume ci portano ora nientemeno che a Diabolik, il criminale più famoso del fumetto italiano. Mario Gomboli è l’autore di tante storie del Re del Terrore e dimostra tutta la sua maestrìa nel condensare in poche pagine, e zero parole, il succo del suo contributo. Infinity Strip ci mostra un lato inedito dello spogliarello, perché non è detto che togliendosi gli abiti si riveli la propria identità. La nudità può essere infatti intesa come un’ulteriore maschera e, in effetti, vedendo una persona a noi nota senza vestiti potremmo rischiare di non riconoscerla dal momento che difficilmente l’avremo vista prima in quel contesto. Lettori a parte, la stessa identità di Diabolik non è affatto riconosciuta e, grazie alle preziose maschere, il criminale può cambiare aspetto ogni mese in modo perpetuo. Allo stesso modo in cui la protagonista del racconto, illustrato al meglio da Guerra, può ripetere all’infinito il suo conturbante show. Il ritorno di Celestino Pes, storico sceneggiatore di Magenta, è alla base di una nuova avventura dell’eroina più sexy del mondo: Inganno al Voile Noir è realizzato sontuosamente da Guerra che, naturalmente, si trova qui al massimo del proprio agio. Ad affiancare Magenta troviamo la bella Yvonne Lebas, resa alla grandissima dalla sapiente mano di Nik, sebbene faccia un po’ tristezza vedere Lucrezia relegata nell’ultima vignetta del racconto. Pes rispolvera la vena truce di Magenta, più cruenta rispetto alla versione più recente, tuttavia non tradisce lo spirito del personaggio ripresentando una tipica storia breve del passato più remoto. Un altro autore bonelliano è chiamato quindi all’opera e Pasquale Ruju mostra tutta l’efficienza produttiva della casa editrice milanese inventando addirittura il personaggio di Sierra per l’occasione. Festa di laurea è la storia da manuale che potrebbe anche essere pubblicata dalla Bonelli: c’è l’azione, un pizzico di giallo, appena un velo di eros e il colpo di scena finale. La successiva illustrazione da due pagine mozza letteralmente il fiato: la Bionda, la mitica eroina di Franco Saudelli, in tutto il suo splendore ci presenta Le due litiganti. Il racconto, frutto della collaborazione con il maestro romano, è da considerare la battaglia del secolo del fumetto italiano. Sbagliate se pensate che il crossover dell’anno passato tra Tex e Zagor non potesse avere eguali, almeno nella penisola: la Bionda vs Magenta sbaraglia infatti il pur onesto incontro tra i due storici eroi bonelliani e ci riporta ai tempi della domanda delle domande. ‘E’ più forte Hulk o la Cosa?’, chiedevano ripetutamente i lettori alle rubriche postali della mitica Editoriale Corno. La risposta in coda all’episodio magicamente illustrato da un Nik Guerra mai così smagliante, è una perla di ironica e tradizionale saggezza ma prima di passare al successivo vanno sottolineati i pregi del miglior racconto del volume. La Bionda è stato il personaggio più interessante di fine millennio e Magenta dell’inizio di quello nuovo: uno scontro epocale, insomma. Tavole che rimarranno nella Storia del fumetto come la lotta più sexy di sempre. Infatti, rispetto ai temi più abitualmente frequentati dall’eroina di Guerra, Le due litiganti giustamente si muove nei territori tipici della platinata ladra creata da Saudelli. L’autore toscano si dimostra perfettamente in grado di illustrare da par suo le scene di lotta femminile e di bondage, attività principe della Bionda, personaggio che così rivive in queste pagine in tutto il suo carismatico fascino. Magenta, da parte sua, regge il confronto alla grande, dimostrando che di quale pasta sia fatta una volta di più. Chi poteva prendersi lo scomodo compito di portare avanti il volume dopo un passaggio tanto ingombrante? Ma Cocò von Sade e You Bad Girl, che domande! Cristina Simonelli, la polivalente eclettica artista che si cela dietro il soprannome da ragazzaccia (You Bad Girl) ha l’ironia, e l’autoironia, necessaria per gestire al meglio la situazione. Con una storia minimalista eppure colma zeppa di rimandi e giochi di parole, riesce ad affascinarci portandoci nella sua dimensione, completamente dimentichi di qualunque altra cosa. A chiudere il volume il racconto di Enrico Teodorani Una croce per Djustine: la mitica sexy pistolera è una vecchia conoscenza di Guerra che la interpreta ovviamente nel modo migliore. Niente di meglio di un bel duello western per chiudere in bellezza. Il volume è infatti finito: la moltitudine di personaggi femminili nelle stupefacenti interpretazioni di Guerra fatica a trovare pace nella mente del lettore, sommerso dalla meraviglia delle tavole. Come detto, l’idea alla base di 13 è geniale perché permette a Nik Guerra di sfoderare il meglio della sua capacità artistica. Graficamente più appagante rispetto ad un volume con una storia lunga, narrativamente più coinvolgente di un libro di pin-up.
Gioco, partita, incontro.